AL MIO PAESE (1)

AL MIO PAESE (1)

AL MIO PAESE (1) 2160 1535 Vincenzo Leonardo Manuli

Premessa

Al mio paese …

ci sono diverse piazze, celebrazioni di incontri, di saluti, di abbracci, di sguardi e di appuntamenti, intrecci di vita. Ci mescoliamo, nella molteplicità delle differenze, tra la bellezza e l’imperfezione, tra stereotipi e convenzioni. Palazzi e case decadenti e fatiscenti, per il forestiero non sono un buon biglietto da visita, il decoro urbano è sempre stato un limite insuperabile. 

Al mio paese ..

ci sono tante fontane, monumenti, palazzi storici, esploro il mondo intorno, osservo, senza smettere di immaginare, come si svolgeva la vita, raccontando, tra la sosta di un caffè e il pettegolezzo di una situazione, e chi passeggia nel dolce far niente. Penso che l’osservazione passa attraverso una rete di relazioni, fatta di scuola, istituzioni, cinema, religione, teatro, musica, amicizia, un insieme di interazioni che tessono il vivere civile.

Al mio paese …

c’è il centro, piazza Italia, raduno e parata di passeggio. Poi ci sono le chiese, i bar, le pasticcerie, le periferie, le contrade, il mercato settimanale, un mondo fatto di umanità, in una vita difficile, tra chi prende le distanze e chi vuole fare amicizia, tra chi vuole la libertà e chi non osserva le regole. C’erano poeti, scrittori, letterati, viaggiatori, al mio paese, condannati purtroppo alla damnatio memoriae. Qualcuno ha un mezzo busto, solo per ricordare il suo breve passaggio. Ci sono barriere architettoniche, non c’è penuria di giochi, di feste, violenze e incidenti, tutto dipinto dai social che raccontano la superficialità e l’apparenza di un uomo in cammino, che indossa la maschera e la toglie di sera quando va a dormire, per indossarla nuovamente al mattino.

Al mio paese ..

ci sono vicoli e viuzze che quando passeggi sembri un intruso, in una società lacerata da melanconia e speranze che raccontano per il nostalgico che rientra da lontano, infanzia, emozioni, sogni, amicizie perdute.

Al mio paese …

c’è tutto il travaglio del difficile mestiere di vivere, come lo chiamava Cesare Pavese. Se ci si guarda attorno tutto scorre tra la pazienza e l’accettazione di stereotipi, chiusure e convinzioni, dove si è contenti del minimo indispensabile, in un mondo di apparenze ed esibizioni.

Al mio paese …

se vai in campagna vedi gli ulivi giganti che camminano.

Al mio paese …

non ci conosciamo tutti, nemmeno i vicini di casa, nel rispetto delle regole e delle distanze; una società gelosa e invidiosa, morbosa del pettegolezzo, vita paesana, involuta e misantropa dove ognuno ha il suo cane e il suo gatto. Nessuno sente la mancanza di filosofi che con profezia sappiano interpretare la realtà, guidare la politica, allenare alle virtù. Non riesco a comprendere il senso di alcune vie intitolate a personaggi storici che hanno imposto l’unità d’Italia con la violenza, di latinisti sconosciuti, senza ritrovare qualche protagonista locale o qualche scrittore o personaggio delle nostre parti che si è distinto per qualche opera buona.

Al mio paese …

si osserva la religione cristiana, diversi patroni, parroci, segnano un territorio e un’appartenenza, si affacciano coltivando un gruppo di elitè, in una relazione pacifica con le istituzioni per non disturbare la quiete. Bisognerebbe chiedere se i ragazzi hanno sogni, cosa pensano del futuro, e se ancora il suono delle campane ha un senso o disturba i rumori cittadini.

Al mio paese …

mancano tante cose come nel resto della Calabria e del sud, intendono la parola “cultura” qualcosa di personale, quando invece significa dialogare, confrontarsi e coltivare una umanità nuova. Il dibattito politico si infervora quando ci sono le elezioni comunali, poi tutto si addormenta. Dicono che il mio paese è una città d’arte, c’è scritto nei cartelli stradali (sic!), ma i punti di vista sono diversi su cosa possa intendersi per arte.

Al mio paese …

c’è un mondo fatto di confini, di perimetri invalicabili, di chiusure, di spinte all’indietro invece che in avanti.

(continua)

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