XX TEMPO ORDINARIO ANNO C – Lc 12,32-48
All’inizio della celebrazione eucaristica facciamo un mea culpa per i nostri peccati, chiedendo la conversione del cuore, della vita, non so con quale convinzione, pensando che siano gli altri a convertirsi e non noi. Forse tante volte manca fuoco nelle parole e fuoco nella testimonianza. Invece noi discepoli di Gesù non dobbiamo convertire nessuno, al massimo noi stessi, se ci riusciamo, dobbiamo solo aprire la porta a quelli che vengono a bussare. Tutto il resto non è nelle nostre mani, è nelle mani di Dio e della loro libertà. Certo, ci chiediamo se il fuoco ci abita dentro, senza strumentalizzare la fede o farne una ideologia, se siamo inquieti profeti e segno di contraddizione in mezzo al mondo.

Il fuoco di Cristo
“Sono venuto a gettare un fuoco sulla terra, e come vorrei che fosse già divampato!”, questa è la ragione della sua “venuta” da Dio sulla terra. “Il vangelo di questa domenica è come un roveto ardente, di fronte al quale conviene subito togliere sia i sandali del timore, sia quelli della facile appropriazione. Le parole con cui Gesù rivela la determinazione del suo cuore, in vista di quella passione d’amore in cui è disposto a immergersi con tutto se stesso, non possono essere né addomesticate, né troppo facilmente intese” (RP). È evidente che qui Gesù parla del fuoco come di una forza divina che egli è venuto a portare tra gli umani e che desidera si manifesti e agisca, è l’esperienza della presenza e dell’azione di Dio che è sentita da Gesù come fuoco che brucia, illumina e riscalda, è il fuoco degli inquieti profeti. “Sì, il Vangelo porta in sé una carica di violenza e di incomprensione. Violenza subita, però. Per amore della verità, per fedeltà al Vangelo. Cristo è fuoco. Fuoco che brucia, che divampa, che illumina, che riscalda, che consuma. Cristo è fuoco e traspare dalla nostra vita” (PC).

Il fuoco del discepolo
“Se è dal fuoco che si misura il discepolato, i pompieri della fede possono stare tranquilli. Purtroppo. Lasciamolo divampare. Incendiamo il mondo. D’amore” (PC), e dobbiamo mettere in conto le difficoltà, le persecuzioni, le calunnie, anche e soprattutto negli ambienti ritenuti più sacri e più religiosi: “Se hanno perseguitato lui perseguiteranno anche noi”. “Nel brano evangelico Gesù parla della sua missione ricorrendo alle immagini del fuoco, che egli è venuto a portare sulla terra, e dell’acqua in cui sarà immerso: portare fuoco e ricevere un’immersione: ecco la sua missione. E Gesù si premura di correggere un’interpretazione erronea del suo ministero: “pensate che io sia venuto la portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione”. Le parole di Gesù rivelano anzitutto una verità umana: il conflitto, che non va identificato con la violenza e la guerra, fa parte della vita e attraversa la convivenza umana. La venuta di Gesù ha una dimensione giudiziale: la sua presenza esige una presa di posizione da parte di chi lo ascolta, spingendolo a schierarsi. Il lavoro di verità che Gesù attua passa attraverso il giudizio che vede nel profondo e scandaglia il cuore. Non è forse questa la forza “chirurgica” della parola di Dio che penetra come spada a doppio taglio nel profondo della persona, la mette in crisi attuando un giudizio, giunge fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, e mette a nudo i sentimenti e i pensieri del cuore” (LM).

Il fuoco della Chiesa
Sacerdoti, re e profeti, il triplice munus del battezzato, chissà con qualche passione e forza lo diciamo, stanchi di un cristianesimo che non entra nelle midolla della vita. Che bello essere fraintesi, cioè inquieti profeti, in mezzo al mondo che ha dimenticato di incarnare la voce del Signore, accettando il rischio di essere totalmente fraintesi. Il profeta Geremia non ha paura di essere deriso, picchiato, addirittura gettato in una cisterna, perché denunciò dalla corruzione i suoi contemporanei: “I profeti sono scomodi perché hanno l’occhio penetrante, non tanto per prevedere il futuro, quanto per leggere il presente. E i profeti coraggiosamente ricordano agli uomini che il male è male perché fa male, e il bene è bene perché fa bene. Quanti non lo capiscono e si fanno del male!” (AC).

“Sono venuto a gettare il fuoco sulla terra”, senza accomodamenti, a rischio della pace di quella che rimette sempre tutto in discussione, “chiede di uscire fuori dallo sfocato, dall’indeterminato, chiede di ustionarci anche a costo di divisioni, anche a costo della vita. Una pace «non come la da il mondo» ci ha lasciato Gesú, ma una pace ribelle, così inquieta che non ama il quieto vivere e ci chiede di stare dalla parte di Dio e dei suoi preferiti, gli ultimi, i deboli, i feriti dalla vita. E il nostro Dio incendiario…” (LV).
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