La fede in Dio non mi interessa

La fede in Dio non mi interessa

La fede in Dio non mi interessa 1170 1072 Vincenzo Leonardo Manuli

Siamo davanti ad una lingua incomprensibile, il linguaggio della fede, in un contesto secolarizzato, ricco di offerte spirituali e non, esso è diventato una lingua straniera. Un monaco benedettino e teologo, Salmann, affermava che “la fede non è più quel condimento che fa buona ogni minestra”, una salsa che va bene per ogni pietanza. La fede cristiana non fa più cultura, non interessa, e c’è un aspetto ancora più emergente, la costatazione di un abbandono che tocca i giovani, e che interroga sul futuro della chiesa, sempre più “piccolo gregge” e minoranza insignificante. È noto che la questione di Dio non interessa più, non solo, non è il senso dell’orientamento dell’esistenza, e passaggi importanti della vita come nascita, malattia, morte, non sono più sigillati dalla chiesa come accompagnamento, cura, per non parlare poi delle relazioni familiari, la diminuzione dei matrimoni, le convivenze, i divorzi, uno scacco che mette in crisi il fondamento della comunità cristiana.

Dobbiamo amaramente costatare che l’uomo non ha più bisogno di Dio per spiegare eventi, circostanze, drammi, sia le grandi che le piccole cose della vita, egli può spiegare tutto, prevedere fenomeni, e la fede non è più necessaria. Il credente deve chiedere umilmente ospitalità, un permesso per riprendere un dialogo con amore e ragionevolezza, a partire dal volto di Cristo, un Dio che si è fatto vicino, umano, facoltativo, che ha lasciato la libertà all’uomo di metterlo da parte. 

E se noi non sappiamo più parlare di Dio? 

L’amore, la fraternità, un raggio di sole, l’arcobaleno, il mandorlo in fiore, la vecchiaia, un gesto di solidarietà, ci raccontano che solo la tenerezza ci salverà, attraverso un piccolo sorso di acqua sarà possibile scaldare il cuore, nel bacio di due innamorati c’è la speranza di una rinascita, nel camminare mano per mano di due anziani si nasconde il valore di una fedeltà paziente e grandiosa.

Forse eravamo abituati a vedere troppo in grande, adesso dobbiamo ammettere con sincera onestà che Dio non sta nelle grandi cose ma in quelle piccole e  semplici, e che non è il Dio dei grandi banchetti, delle gioie spropositate, dei tuoni e dei fulmini, dei fuochi d’artificio e delle bande polifoniche, nemmeno il Dio onnipotente e calcolatore o il Dio della religione e dell’istituzione.

È un Dio che si scopre lentamente, nel “sussurro di una brezza leggera” (1 Re 19,12),  “dentro di te e nell’intimo”, nella preghiera silenziosa e nel pianto innamorato dell’orante che vibra nel cuore il desiderio di incontrarlo.

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