Alla prova dell’incredulità nella riflessione del card. C. M. Martini

Alla prova dell’incredulità nella riflessione del card. C. M. Martini

Alla prova dell’incredulità nella riflessione del card. C. M. Martini 2048 686 Vincenzo Leonardo Manuli

Un tempo inquieto e con tanti interrogativi, un cammino difficile nella faticosa ricerca della verità, che ci accomuna un po’ tutti e ci chiama a farci prossimi della debolezza dei fratelli e delle sorelle, è

il provvidenziale e attuale intervento del card. Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano, in una riflessione del 1997 tenuta ai preti dell’arcidiocesi di Milano, egli rifletteva sul tema: “Portare luce nell’incredulità del nostro tempo”. Egli non ha bisogno di presentazioni, un uomo aperto e molto avanti nel pensiero ci ha lasciato un’eredità preziosaprofetica e lungimiranteMartini nella sua esposizione non cita la Bibbia o passi del Vangelo a lui molto familiari e che da esperto studioso meditava, ma rinvia ai Manoscritti del dottore della Chiesa Santa Teresa di Gesù Bambino, monaca carmelitana morta in età giovanissima. 

Teresa vive una intensa prova della fede negli ultimi anni della sua vita, è nella notte più buia della fede, si sente vicina ad anime senza fede, attraversa la forte tentazione del nichilismo, del nulla, senza orizzonti speranza. Un’anima di clausura, semplice, consacrata, lontana dai piaceri del mondo e più vicina di noi alle cose di Dio, prossima a ogni uomo e ogni donna che fanno anche esperienza del dolore, ci provoca e ci fa riflettere sui sentieri che stiamo percorrendo. 

Oggi lo costato nella mia vita da prete, nella chiesa dove esercito il ministero, in mezzo alla gente, nella cultura, nella società, e questa riflessione di Martini mi stimola ad una riflessione spirituale molto onesta e acuta, dalla quale ognuno di noi può sentirsi interpellato, anche nella realtà laicale. 

Come non domandarsi che cosa sta avvenendo in quest’epoca e in questa società? Il mio non è pessimismo, ma uno sguardo penetrante, dove mi accorgo di una chiesa stanca, burocratica, che vive una forma di automatismo, cerca di mantenere alcune posizioni di potere, smettendo di essere profetica, in una società indifferente, lontana dal magistero ecclesiale, soprattutto quando si parla di temi etici come l’inizio e la fine della vita, il matrimonio, senza tacere gli scandali che allontanano sempre di più dalla fede cristiana. Come non interrogarsi anche sulla nostra azione pastorale, sullo stile, sulle nostre proposte, invece di essere ingolfati di messe, novene, tridui, convegni, documenti, che poi se non sono accompagnati da momenti di confronto, di verifiche, di incontro, rimangono fine a se stessi. Come non interrogarsi su noi stessi?

Diciamoci la verità, siamo franchi con noi stessi, fra di noi le cose ce le diciamo e sono risapute, anche in questo Sinodo si dovrebbe essere più sinceri ed onesti, perché nella società, al di là di qualche riconoscimento frutto dell’eredità del passato, il clima è cambiato, siamo solo una presenza istituzionale, etichettata, e poi niente più. L’atmosfera non è solo d’indifferenza, ma di nichilismo, e il contesto non aiuta nel quale attraversiamo il “venerdì santo della ragione” come affermava il filosofo Hegel, e appare difficile ad appellarsi a valori importanti che hanno fatto la storia conseguenza di una perdita anche della memoria in una società smarrita e senza punti di riferimento. “Quello che conta è solo l’attimo presente”. Cosa c’è più da difendere? Una volta si parlava di valori non negoziabili, adesso?

Per non parlare poi di argomenti come l’eternità, il giudizio, la morte. Scrive Martini, “Certamente, perché è prova della fede e della speranza e tocca un punto nevralgico dell’attuale carenza di fede e di speranza. Tocca qui il nervo scoperto dell’uomo occidentale che è la fede nella vita dopo la morte, nella vita eterna. In proposito oggi c’è mota oscurità, confusione, dubbio, reticenza, rimozione pratica”. Si ha paura a parlare della morte, dell’incontro con il Signore, non si parla di realtà eterne come il giudizio, la risurrezione, l’inferno, il purgatorio e il paradiso, tutto invece incentrato su una dimensione orizzontale. 

Martini citando sempre Teresa, “è pronta per l’eternità”, e sente compassione nel suo sedersi alla tavola insozzata dei peccatori. Ella diviene un esempio per il prete, “chiamato a vivere la prova della fede del nostro tempo facendosi compagno di strada, vicino, cercando di non cadere nell’incredulità, ma di vivere la purificazione della fede che comprende la sofferenza dei non credenti meglio e più di loro” 

Questo tempo è un momento provvidenziale, di presenza minoritaria ma significativa, e ciò che conta, è il “primato dell’amore”, quello che ha trovato Teresa. Chi ha trovato l’amore, inizia ad entrare e a vivere il vero senso della vita e della storia, dell’eternità, è “il mistero interpretativo del nostro tempo, che alcuni increduli cominciamo a capire, perché dicono: non vedo niente, non so che cosa accadrà dopo la morte, ma so che è importante amare”. 

Anche in questo passaggio della storia, il Signore ci conduce in questo percorso per sperimentare l’essenziale della vita cristiana, per ritrovare Dio e la nuova identità.

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