Al mio paese  … (3)

Al mio paese  … (3)

Al mio paese  … (3) 1600 1200 Vincenzo Leonardo Manuli

Un sogno

Io vivo la vita, e scrivo di ciò che vedo,

scriveva la giornalista russa Anna Politkovskaja, uccisa nel 2006, voce profetica dei nostri giorni, vivere affinando gli occhi e l’orecchio assoluto e nudo senza filtri, e spostare il baricentro oltre noi stessi. 

Per il nostro tempo, un nuovo mondo si affaccia, nella quale dominano le scienze, la tecnologia, l’intelligenza artificiale, davanti a tutto questo, l’uomo si nasconde dietro il computer o lo smartphone sempre connessi, online; siamo in cammino verso scenari complessi, un futuro incerto che ha messo in discussione le nostre identità, i volti sono rappresentati dagli schermi, dal virtuale, e di questo passo, saremo scalzati dalla robotica. 

Che fine ha fatto la carta del libro? Che fine hanno fatto i volti di carne? Che fine hanno fatto quelle discussioni costruttive fatte di dialoghi e litigi, unici, emotivi, di sorrisi e di rabbia?

Oggi non si dicono più le cose in faccia ma si usano i social, l’e.mail. Si divorzia persino con un vocale su whatsApp, perché manca il coraggio di affrontare l’altro, di guardare la realtà, di confrontarsi, per chiarirsi e crescere, soprattutto, di guardarsi negli occhi. Un paese, una comunità, un gruppo, hanno necessariamente bisogno di luoghi-laboratorio per gareggiare, tipo un oratorio, una palestra, un campo di calcio o di pallavolo, una biblioteca, un’associazione culturale. Si opta per i centri benessere o estetici, e per chi può permetterseli le vacanze esotiche, luoghi fatati e magici, per non parlare dei centri commerciali. Non è redditizio sotto il profilo economico quello che vorrei proporre, ma dal punto di vista umano e intellettuale sì. Nei tempi passati c’era la possibilità nelle associazioni cattoliche di poter fare amicizie, adesso sono più ridotte, nelle chiese si vive da “consumatori del sacro”, d’altronde la nostra è la società del mordi e fuggi, del take away, oppure non frequentano nemmeno perché non trovano il luogo sacro ospitale e accogliente, per vari motivi, ad esempio le liturgie sono complesse e autoreferenziali, o i posti sono presenziati dai soliti accoliti, come quel cerchio protettivo attorno al pastore di turno, inavvicinabile se non direttamente dagli adepti simpatizzati e preferiti, che fanno da mediatori con l’inesperto credente e non praticante dei riti ecclesiali.

Io vorrei aprire un caffè libreria, un caffè letterarioper allungare la vita, dove ci si possa fermare, ordinare caffè con una fetta di torta o di un dolce, e sfogliare liberamente, un sogno non per fare impresa o lucro, tantomeno il circolo degli intellettuali di purosangue. Sono consapevole che è difficile, gli anziani al mio paese non hanno un luogo tutto loro per ritrovarsi, conversare, giocare a bocce o a carte; figuriamoci per i bambini, a loro è dedicato solo un piccolo spazio giochi alla villa comunale, dove la gente porta i cani a fare i bisogni fisiologici, i frequentatori buttano mozziconi di sigarette e cartacce varie. Per i più giovani? Lavoro, studio, qualche sport, ma non possono essere le uniche cose, la vita non può essere casa-scuola, in tempi recenti c’era la chiesa che attraeva, quest’ultima oramai la frequenza è in calo, dove i pastori fanno finta di non vedere.

Un caffè letterario, sì, sarebbe un posto magicoconviviale, per incontrare qualcuno, leggere un bel libro, degustare anche una bevanda, entrare in contatto con un gruppo di lettura, condividere i pensieri, riflettere su un determinato tema. Lo so, questa mia idea-sogno, si scontra con la realtà, la burocrazia, l’invidia, la mancanza di risorse e di incentivi, anche in un contesto che preferisce la chiacchiera alla lettura di un libro, e invece potrebbe essere un luogo culturale per promuovere incontri nelle scuole, nei quartieri, creare gruppi di lettura per gli anziani. 

Oggi tante domande non trovano risposte perché il dialogo è venuto meno, così come l’ascolto, soprattutto per quanto riguarda quelle esistenziali. Qualche comune organizza dei mesi dedicati alla lettura del libro, ma sono fine a se stessi, propaganda a suon di slogan senza riscontri nella società civile, un’idea geniale che ha perso la forza davanti ad improvvisati organizzatori, che finisce nel coinvolgere minoranze a mo’ di presenza. La lettura è in calo, si preferiscono trafiletti di notizie e chiacchiere da bar alla conversazione di un buon libro, anche in compagnia, perché, sono i libri che un uomo legge, quelli che lo accusano maggiormente (Victor Hugo).

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