ANTROPOLOGIA DEL SENTIRE

ANTROPOLOGIA DEL SENTIRE

ANTROPOLOGIA DEL SENTIRE 304 166 Vincenzo Leonardo Manuli

Nel nostro mondo fatto di mistero e di complessità, vivace e ricco di sfide, è tutto affascinante, perché profonda è la realtà del vivere: gesti, presenze, scelte, sguardi, parole, significati, si insinuano nei legami, negli affetti e nelle forme di vita comune, negli atteggiamenti che esprimono la cura del sentire, nella danza degli sguardi, di tocchi, di carezze. Un corto circuito si è creato nel rapporto testa e cuore, – dobbiamo imparare a fare pace -, sappiamo molte cose, possediamo tante conoscenze, siamo dentro un grande sviluppo tecnologico, ma il problema è farle arrivare al cuore, cioè sentire, cioè permettere di vivere tutto ciò non solo a livello informativo, ma farlo diventare performativo e trasformativo. È nella fenomenologia della prossimità e dell’empatia che il sentire si instaura, nella tensione tra la fatica e l’amore che si vive dentro lo spazio del vissuto, nella quale si coltiva l’umanità che freme di sguardi, di sentimenti e di emozioni. 

1) Il sentire non rimane ad un livello teorico o intellettuale, esso include il vedere e il toccare, il farsi carico della storia, della realtà, nel superamento della superficialità che non sfugge il contatto, evita l’isolamento, nella potenza di avvicinarsi all’altro carico di umanità e alla realtà nella pienezza della vita. La poetessa Alda Merini scriveva: «Mi piace il verbo sentire … Sentire l’odore di chi ami, sentirne la voce e sentirlo col cuore. Sentire è il verbo delle emozioni, ci si sdraia sulla schiena del mondo e si sente». Sentire è avvicinarsi e non rimanere indifferenti, lasciarsi toccare, ferire, varcare la soglia, tentare di andare verso l’oltre, in un viaggio di passione e di intelligenza. 

2) Il sentire è una responsabilità, una chiamata dentro il cuore per lavorare, un allenamento quotidiano per creare uno spazio per l’altro, per l’alterità, e dare del tempo. La direzione è di spostarsi da dove si è, sentire è un’azione, una scelta nell’ambito di un dinamismo in cui si decide di fare qualcosa, permettere di lasciarsi interpellare. Il corto circuito è dovuto anche alla comunicazione, la mancanza dell’ascolto ne ostacola il dialogo, isola e non aiuta il mondo affettivo, emotivo, psicologico e razionale, quel mondo dentro che percepisce la realtà nella sua profondità.

3) Il sentire ha a che fare con il pensare, la riflessione che dilata l’umanità e dice di allargare le braccia, nel senso dell’accoglienza, aperti all’inedito che anche nell’imperfezione e nell’assenza dichiara un mondo di luci e di ombre. Non solo, la fenomenologia del sentire si esalta della contemplazione, lo stare davanti alla presenza, in ascolto, in silenzio, che è legata alla vita interiore dell’umano. 

Il sentire la realtà, una situazione, una persona, la natura, in termini esistenziali, lascia nella libertà, non imprigiona, infatti scriveva Cesare Pavese: «Io non ho mai potuto afferrarla: la sua realtà ogni volta mi sfugge e mi porta lontano. L’ho creata dal fondo di tutte le cose che mi sono più care, e non riesco a comprenderla».

In termini pratici, offro due esempi dell’antropologia del sentire

Davanti ad un tramonto, posso negare che esiste, di riconoscerlo, oppure mi fermo a sentire la voce, i colori, a gustare la danza del suo movimento, sosto per un breve tempo in un luogo suggestivo, per respirare con ritmi differenti dalla vita frenetica, e sono guardato da questo dono della natura, un miracolo che si ripete ogni giorno, lo voglia o no, indipendente dalla mia volontà.

Un altro esempio che esclude intenti moralistici, è lasciarsi provare da una persona che chiede il mio aiuto, mi interpella, mi complica la vita, invitandomi a uscire da me stesso. Anche qui, posso negare l’urgenza, non lasciandomi toccare, oppure, davanti alla verità, ella mi tira fuori, sento che mi rivolge una domanda concreta.  

In conclusione,  potrebbe finire qui la riflessione sulla fenomenologia del sentire, ci sarebbe tanto da dire, ma ho potuto comprendere nella mia piccola esperienza che il sentire dipende da persona a persona, dall’educazione ricevuta, dalla sua sensibilità, a volte anche per una atrofizzazione dei sensi.  Sovente si preferisce un’apparente tranquillità, di scappare da una determinata situazione, invece di sentire, in quel luogo decisivo, il mondo dentro, il cuore, un mondo agitato, che la realtà esterna ci raggiunge e non si può far finta di non accorgersi di quello che accade fuori e invece può cambiare la direzione della vita. 

Ricordo le parole di un prete, parroco di un piccolo paesino di montagna, don Lorenzo Milani, il cui motto era I care, ripeteva dire, tu mi stai a cuore, contro la sclerocardia dobbiamo pensare all’altro nella sua concretezza, è l’opzione fondamentale della vita, perché qualcosa irrompe, mi inquieta,  e rimanda all’imprevisto, a quello che la vita mi mette davanti.

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