GIÀ E NON ANCORA

GIÀ E NON ANCORA

GIÀ E NON ANCORA 426 640 Vincenzo Leonardo Manuli

Quando ero studente di teologia ricordo l’esame di Escatologia sulle Realtà ultime, uno dei corsi più appassionanti con temi di cui non abbiamo una diretta esperienza, e a proposito della morte che è l’ultimo dei pensieri e delle nostre conversazioni, e che nella prospettiva di fede dobbiamo affrontare questo tema delicato. A proposito dell’eschaton, nel calendario liturgico ci sono due ricorrenze collegate che aprono il mese di novembre: la festa di Tutti i Santi e la Commemorazione dei fedeli defunti.

Delle Realtà Ultime balbettiamo mediante proiezioni, intuizioni, parabole, a partire dal nostro vissuto di fede e di esperienza, ma il linguaggio sarà sempre inadeguato ad esprimere il dopo, la vita ultraterrena, l’aldilà, ogni classificazione o tentativo di costruire qualcosa dovrà fare i conti con l’inedito. Il linguaggio più congeniale è la preghiera e la vita vissuta nella fede, nella speranza e nella carità; nella preghiera come volo del cuore e nella pratica come concreta testimonianza nella vita di tutti i giorni.

  • Crediamo come credenti e cristiani alle Realtà Ultime il Giudizio, l’Infermo e il Paradiso?
  • Crediamo alla vita eterna? Crediamo alla Risurrezione?
  • E tutto questo come si concilia con il Dio misericordioso?
  • Quale sarà il metro di giudizio di Dio sulla nostra vita?

Se abbiamo realmente incontrato Cristo tutta la nostra esistenza sarà vissuta nell’amore, dall’inizio fino alla fine, nella fede e nella speranza. Scriveva il card. Martini: Non c’è nulla di più consolante del sapere che il nostro corpo risorgerà, che la morte e la conseguente separazione alle persone care non è la parola ultima. La fatica che facciamo è la conseguenza dei nostri orizzonti limitati alla vita terrena e temporale, la morte o la sorella morte come la chiamava San Francesco di Assisi ci interroga che non si vive per la morte ma per la vita. È una esperienza che faremo e che facciamo anche in vita, questo vallo estremo come scriveva Eugenio Montale: si vive quando si è aperti alla vita, mentre si muore quando si è chiusi alla relazione, nell’indifferenza e nella negazione di ogni senso della vita, come foglie d’autunno, nell’incanto poetico di Ungaretti.  

Cosa significa che risorgeremo? Le relazioni che abbiamo avuto in vita come saranno dopo la morte? Questo corpo destinato alla corruzione come sarà trasformato?

La morte continua ad essere un confine, una domanda, un enigma, perché anche Dio è una domanda, non un punto, Dio è una virgola, afferma il domenicano Timothy Radcliffe. Questa realtà ultima e definitiva trova luce nella Solennità di tutti i Santi, uomini e donne in carne ed ossa che hanno realmente vissuto, spinti da una forza straordinaria e che hanno cercato nell’esistenza terrena il volto di Dio. Afferma Daniel Ange, guardando i santi, sappiamo chi saremo domani, essi ci orientano, ci incoraggiano, ci indicano la ragione d’essere. 

Le domande del filosofo, Chi sono io? Da dove vengo? Verso dove vado? Perchè c’è qualcosa e non il nulla? sono domande esistenziali e teologiche, quando si scorgono nella vita terrena aspetti ultraterreni. Siamo chiamati ad un di più. Per il battezzato la dimensione terrena della chiesa va di pari passo con quella escatologica, la Chiesa è il Corpo mistico di Cristo, mediante la liturgia ci spalanca il cuore e gli occhi nella sua triplice dimensione: la chiesa militante, la chiesa purgante e la chiesa trionfante. Noi siamo incamminati con la chiesa purgante alla pienezza della gloria, ad incontrare il Volto glorioso e luminoso di Dio che nel dono del Figlio fattosi uomo e morto e risorto per la nostra salvezza si può ricevere nella misura in cui ci apriamo generosamente a Lui e ci doniamo ai nostri fratelli.

Il punto discriminante è la nostra libertà, Egli la rispetta, non s’impone, bussa alla porta del nostro cuore fino all’ultimo respiro.

La festa di Tutti i Santi è la festa della nostra speranza, ma questo non ci esime da alcune domande che trovano risposta nella nostra vita di credenti, cioè di cristiani che accolgono le promesse Di Dio, su di essere costruiscono e a esse si affidano afferma Benedetto XVI.

Il nostro cammino vissuto nell’esercizio delle virtù teologali della fede, della speranza e della carità, ci incoraggiano, noi non siamo soli (Benedetto XVI), Qualcuno ci aspetta siamo attesi, tu Sei atteso, nell’attesa della tua venuta ripetiamo ogni giorno nella celebrazione eucaristica, è un grido di incoraggiamento e di speranza che non cade nel vuoto e assume un volto concreto: Gesù Cristo.

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