La distruttività dell’invidia

La distruttività dell’invidia

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Il filosofo Socrate, affermava che “l’invidia è l’ulcera dell’anima”, un tormento, vizioso e comportamentale, che coinvolge rapporti familiari e sociali, soprattutto tra le persone vicine e strette. Spesso si fa minacciosa, avvelena l’invidioso e l’ambiente, antieconomica e cieca. Dall’etimologia latina in-video, mal vedere, guardare di sbieco, guardare contro, impedisce di riconoscere il bene, perché, l’invidia ha gli occhi serrati. L’astio di cui gode l’invidioso, che vuole il male altrui (il malocchio), scaglia frecce contro gli altri che alla fine si rivelano un boomerang. C’è una perversione nel giudizio dell’invidioso, è contro il prossimo, osteggia una sana competizione e rivalità, e le conseguenze sociali sono rovinose. La mitologia greca conosce l’invidia della dea Atena, la dea della saggezza, che distrusse l’arazzo di una sua allieva Aracne, che si vantava del suo capolavoro. Anche la spiritualità biblica conosce l’invidia, anzi, le pagine bibliche sono percorse da tante guerre e conflitti, a partire dal quella di Caino che uccise il fratello Abele, quella dei filistei verso Isacco che costruiva pozzi di acqua ed essi li otturavano, per finire a quella dei capi religiosi che misero a morte Gesù, consegnandolo a Pilato.
Che visione ha della vita l’invidioso? Come proteggersi dall’invidia? Le caratteristiche tutte negative dell’invidia, mortifera, distruttiva, disfattista, pessimista, al punto che il suo tormento è un inferno, il cui sguardo ammalato, consegue una cattiva e sbagliata valutazione del benessere altrui. La spiritualità religiosa, fa rientrare questo vizio tra quelli capitali, associato ad altri, come l’avarizia, la tristezza, un male sociale che opprime anche la convivenza. Alcuni si difendono ricorrendo alla scaramanzia, al sortilegio verso il male, nel migliore dei casi con la preghiera, oppure nell’indifferenza.
Esistono terapie e cure per l’invidioso? Innanzitutto, quella più difficile è di riconoscerla, in se stessi, non si è esenti, domanda di vivere la sobrietà, in quel “non desiderare”, contro la “bulimia dell’avere” nella società dei consumi e dell’apparenza” e di assumere l’atteggiamento di gratitudine, di bontà, verso la vita e gli altri. Perché non ci si accontenta di ciò che si possiede? Facile a dirsi che a praticarlo, anche in Calabria, si fa fatica a costruire qualcosa di nuovo, a condividere la gioia con gli altri. Si trascura nella spiritualità il cammino verso la beatitudine, la necessaria la lotta contro l’invidia è che l’invidioso cerca la felicità nel modo sbagliato, è infelice della felicità dell’altro, quando la ricerca della felicità mira alla cura della fraternità, intesa come solidarietà, compassione, prossimità. La bibbia ha i suoi archetipi, la psicanalisi parte dall’infanzia, del rapporto madre-bambino, la società parla dell’antieconomicità dell’invidia, ed è nella profondità del cuore dell’uomo il processo di cambiamento, laddove rode e consuma fino all’odio chi non vede il bene ed è nemico della felicità altrui. Nel classico letterario «Gente di Aspromonte», lo scrittore Corrado Alvaro, elencava uno dei mali della società calabrese di quel tempo: nella figura misera del povero pastore Argirò, che per far fortuna e risollevarsi dall’indigenza, si inventò un mezzo di trasporto per aiutare la propria famiglia, acquistò un mulo per trasportare dei beni dalla montagna al paese, tuttavia l’invidia, l’odio, portarono i suoi avversari ad incendiare la stalla e il mulo, con il risultato nefasto e distruttivo che il povero pastore Argirò perse tutti i suoi averi. Quella che descriveva Alvaro era una società arcaica, primitiva, dove i rapporti sociali erano spietati e le ingiustizie profonde. È cambiato qualcosa in Calabria? Pensando alla convivenza umana e civile, sono pochi gli esseri umani dispensati dall’invidia, sottomessa più alla logica dell’homo homini lupus, che a quella dell’homo homini frater. L’invidioso è il figlio del dio minore che ha come unico piacere la rovina altrui, il cui tormento sarà sempre una pianta maligna che si ramifica, distrugge: con il pettegolezzo, la calunnia, e altre azioni pratiche di svalutazione dell’opera dell’altro. Essa incide nelle relazioni intime, a livello politico, istituzionale, religioso. Si parlava di terapia, come proteggersi, occorre l’esercizio della cura dello sguardo, della purificazione del cuore, che ha come base una parola fragile e bella, l’amore, la cura dell’altro, del prossimo, ed è una questione molto seria.

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