La Calabria perduta abitata dai demoni

La Calabria perduta abitata dai demoni

La Calabria perduta abitata dai demoni 1170 1153 Vincenzo Leonardo Manuli

Un demone si aggira nella vita del calabrese, e per capire la Calabria e il calabrese, è necessario stare dentro la Calabria, bisogna amarla e odiarla, patire e soffrire, vivere la costrizione solipsistica dei paesini isolati, dove la modernità è difficile da masticare, la storia si è fermata, tra baroni, padrini e padroni che spellano fino all’osso, e non c’è posto per i profeti. 

In Calabria c’è il demone dell’invidia, le questioni personali creano faide, i rancori si perpetuano di generazione in generazione, questo demone uccide fisicamente e moralmente. In Calabria non si può pensare, sono scappati gli intellettuali, per non parlare del demone del silenzio, del si è fatto sempre così. Il calabrese tiene molto alla propria terra, al mare, alle montagne, alle colline e ai panorami sempre verdi, agli ulivi e agli aranceti, ai propri campanili, ai santi e alle processioni, ma in modo nostalgico, dove tutto è fermo. Egli  ci ritorna come turista, poi, quando se ne va, con le lacrime agli occhi e un colpo al cuore si dimentica di essere figlio, dei suoi natali, degli antenati, se non come discendente nobile della terra perduta. Il calabrese è abituato a vedere edifici non completati, palazzi fatiscenti, opere pubbliche incomplete, ospedali che nemmeno il terzo mondo ci invidia, nepotismi e poltrone occupate per eredità, strade interrotte, l’autostrada eterna incompiuta che è tutta un zig zag, perché ogni fermata ha un motivo politico. È un destino immutabile del calabrese, tragico, forse questo demone non ci lascerà mai e nulla potrà cambiare. Il calabrese si rivolta contro il bene, non ama la piazza per protestare se non per parlare male di questo o di quello. Crede nel miracolo il calabrese, un mondo tutto magico, una mentalità fatalista, in una terra abitata da déi e da diavoli, scacciati con riti e maledizioni grazie ai maghi e alle fattucchiere.  

La Calabria è rocciosa, terra lontana, dura, ostica, anche per il calabrese stesso, abituato al provvisorio, a vivere alla giornata, senza un senso civico, dove la comunità sono il clan, la ‘ndrina, il complice, i compari di affari loschi. Non ama il mare il calabrese, ci sono tanti demoni, ha paura delle sirene, dei mostri che abitano i bassifondi, meglio la montagna, anche se non dà sostentamento. Valli, precipizi, gole profonde, monti, burroni, nella rarità delle pianure, tra terremoti e alluvioni, è tutta un’avventura, un inerpicarsi per sfuggire al demone della comunità. 

Il calabrese ha paura del cambiamento, serve padroni forestieri, rinnega la propria storia, espelle i suoi talenti migliori. Il calabrese è tutto peperoncino e sole, affronta la vita con la durezza della fronte  e i denti stretti per la paura del nemico, quel demone che non lo abbandona mai. 

Non si può criticare il calabrese, non ama l’inedito, la novità, segue le tradizioni, si ubriaca di feste e fuochi di artificio, schiavo di racconti popolari, sacri e intoccabili, e che nessuno può violare. Il calabrese diffida di tutto e di tutti, anche di se stesso, uno scomunicato che teme il suo vicino, teme il santo patrono, si prostra al sindaco e al vescovo, omaggia il parroco e i signori baronali con mandato divino, per non parlare del politico di turno, dopo la promessa dei voti  attende lo scambio dei favori, vendutosi per un piatto di lenticchie. Nulla cambierà mai!

Basta un po’ di pane, di acqua e di vino, anche se la vita è fatta di stenti, ma il calabrese si accontenta, non ama stare insieme, dubita sul funzionamento delle regole, preferisce ritirarsi e stare da solo, perché la compagnia non porta nulla di buono. È una terra lontana la Calabria, una terra difficile, per le condizioni di vita, un’economia senza sussulti, invivibile per i tradimenti e per le frane, per l’oleandro e per la minaccia che i demoni che incombono e possano un giorno impossessarsi della sua anima, allora è meglio scacciarli con un po’ di incenso, un segno della croce e una spruzzatina di acqua santa. Quando si parla della Calabria, meglio fare gli scongiuri, un rito che si ripeterà fino alla fine e poi riprenderà di nuovo.

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