Fenomenologia del campanile. Un riconoscersi se stessi

Fenomenologia del campanile. Un riconoscersi se stessi

Fenomenologia del campanile. Un riconoscersi se stessi 1170 1354 Vincenzo Leonardo Manuli

«Insegnare è facile come scagliare pietre dall’alto di un campanile. 

Mettere in pratica quello che si insegna, 

è invece difficile come portare pietre in cima al campanile».

 SAN SERAFINO DI SAROV

Per capire l’importanza del campanile, dal punto di vista sociale, civile, artistico e religioso, basta osservare queste monumentali torri che dominano la città o il paese, divenuti sito di visite al quale si può accedere all’interno salendo numerosi gradini e per godere dall’alto la meraviglia del panorama che domina il paesaggio e lo sovrasta. Dotati con tanto di orologio che suona a seconda della programmazione, e ricorda (almeno in tempi recenti) gli appuntamenti religiosi della giornata, la santa Messa, l’angelus, il transito di un defunto, una festa particolare, sono stati un segno per la comunità, non solo religiosa. In un tempo in cui non c’erano i telefonini e internet, lo scampanare era una forma potente per comunicare un evento importante, avvisava, vigilava, vegliava, non era solo attrazione turistica. Ad esempio, molti per regolare il proprio orologio lo sintonizzavano a quello del campanile, ritenendolo preciso come un orologio svizzero. Il campanile ci racconta tanti passaggi, il tessuto sociale dove spesso si è identificato con esso, a volte dividendo il territorio laddove ci sono più campanili, vivendo una forma di appartenenza, di confine, oggi anacronistica, perché di campanili non se ne costruiscono più, ma permangono gli “stili di campanile”, direi, una forma che assomiglia al tifo per una squadra o per una bandiera.

Esso ha rappresentato anche una forma identitaria, sotto il profilo religioso e cristiano, i “cristiani del campanile”: io appartengo a questa parrocchia, tu appartieni all’altra. A volte sembra che nonostante siano passati gli anni, si è rimasti fermi a questi “cristiani del campanile”, invece di passare ai “cristiani del vangelo”, cioè, mi spiego meglio, si è diffusa una egemonia mentale e comportamentale più legata alla struttura, all’edificio, piuttosto che improntati ai cristiani che crescono nel vangelo, in stili che incarnano una disposizione aperta e accogliente, uno spazio di carità e disponibile al confronto, alla crescita umana e fraterna. 

Questo fenomeno interroga i pastori e le comunità, perché il limite, il confine, crea un disagio di fronte a quella libertà che nel vangelo Gesù ha proclamato e vissuto, soprattutto nelle relazioni vere, autentiche e profonde. Anche ai tempi di Gesù si facevano questioni di campanile, ad esempio la discussione sul vero tempio, Gerusalemme o in Samaria? Tanto da scomunicarsi a vicenda! Gesù, non ha creato campanili, non è salito su torri, ha camminato sempre sulle strade polverose della Palestina. 

Il campanile ha una storia, richiama al religioso, ad un’identità, che non è possesso, e purtroppo spesso l’appartenenza è scambiata come proprietà, differenza, élite, esclusione invece di inclusione. Non solo, io darei una qualificazione antropologica, alcuni si identificano perfettamente con il campanile quasi in simbiosi, guardano sempre dall’alto, ne sanno una in più degli altri, elaborano giudizi, si proclamano maestri o professori, senza impegnarsi, non scendono dal gradino, perché stare in alto domina meglio la scena ed è meno faticoso e meno nobile immischiarsi. 

Questa riflessione può sembrare stonata in una società che con la religione ha un rapporto indifferente, ma il legame con il campanile rimane, esso è testimone di tanti passaggi storici, di lotte, di conquiste, dimenticando la superba struttura orgogliosamente svettante verso il cielo, al punto da simboleggiare il tentativo di svegliare l’uomo, a ricordargli che la sua dignità sta nel guardare in alto, a non fermarsi alle cose della terra, a vagliare tutte le prospettive del panorama. Non è forse vero che è abitudine sostare su un’unica prospettiva senza esaminarne le altre?

Il campanile sovente mi sembra una sentinella, che veglia, muto e giocoso, da un lato importante per la sua qualità artistica, la forma dei mattoni, le finestrelle aperte per diffondere il suono delle campane, dall’altro, mi da un senso di fraternità, punto di ritrovo, ombra sotto il quale fermarsi e riflettere.

Cosa accadrebbe se il campanile non suonasse più? E se non fosse strumentalizzato per creare divisioni o di inconsapevole pulpito per esibizioni occasionali? Piuttosto che essere campanili, se scendessimo dai nostri campanili e rischiassimo l’incontro, la concreta solidarietà e fraternità con gli altri? Comprendo che non ci siamo mai fermati a osservarlo e riflettere con una certa attenzione, tranne quando qualche incrostazione o qualche mattone inizia a scricchiolare allarmando per i necessari interventi per evitare danni alle persone o alle cose, forse nemmeno abbiamo pensato che si sia verificata una proiezione di se stessi, ma qualche interrogativo pratico ce lo pone. 

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