Saracena. Escursioni futuristiche

Saracena. Escursioni futuristiche

Saracena. Escursioni futuristiche 1964 1105 Vincenzo Leonardo Manuli

L’epocale film “Ritorno al futuro” non ha nulla da invidiare con una passeggiata e tuffandosi nella storia e nella natura potrebbe sembrare un luogo spettrale, tra case abbandonate e decadenti, muri scrostati, qualche epigrafe giovanile sui portoni. Ci siamo avventurati nei vicoli attenti ai gradini (con Mariangela), in un sali e scendi, per lasciarsi raccontare un passato non archiviato, muto ma parlante, perché tutto ha qualcosa da dire. Siamo partiti dal centro storico, senza una segnaletica che indicasse un percorso, e scendendo, senza incontrare anima viva, siamo saliti su un terrazzo dove di fronte si ammira una parte di Saracena, incagliata nella roccia, rocce dal quale spuntano orgogliosi i fichi d’india. Citavetere, l’antico convento dei frati cappuccini, le cupole di santa Maria del Gamio e il campanile della chiesa di san Leone, per il colore delle tegole che richiamano il mondo arabo, quasi un affaccio che profuma di Oriente.

La giornata soleggiata ci ha permesso di camminare affrontando i tornanti, accarezzati da un freddo tiepido, per poi riprendere i vicoli, nella grazia di incontrare un vecchietto, classe 1933, detto “z’Antonio”, che ha detto di “aver fatto tanti lavori nella vita e mai rubato”.

Cosa colpisce allo sguardo di  un turista come me, non originario di Saracena, forestiero, incuriosito e osservatore di questa piccola realtà che si spopola giorno dopo giorno? Hanno ancora da dire qualcosa queste case abbandonate e questi vicoli deserti? Oppure sono cartina di tornasole di un deserto pronto ad allargarsi decimando gli altri residenti rimasti? 

Come un giovane laureato con tante idee e progetti si programma un futuro per rimanere in questo paese di collina?

Non occorre guardare solo le rocce dal quale spuntano i dolci fichi d’india, gli edifici incollati senza un ordine urbanistico, le fontane scorrevoli dove le donne si incontravano, si facevano una chiacchierata e andavano a raccogliere l’acqua e a lavare gli indumenti e gli utensili da cucina. Se voltiamo le spalle, e il tempo lo consente, diradando foschie e nubi minacciose, si saluta il golfo di Sibari, tra l’azzurro del mare e quello del cielo si confondono, si mischiano, un segno di speranza, che c’è un futuro, non per lasciare i propri paesi incastonati nelle montagne, ma per viaggiare, aprirsi e immaginare un viaggio verso la costa per importanti incontri, scambi fecondi, una reciprocità: “noi vi doniamo l’olio e il moscato di casa nostra, voi dateci il pesce, vi presentiamo i canti dei nostri antenati che si muovevano e partivano per un futuro migliore”.

Potevamo andare al municipio, alla pro loco, a qualche associazione presente nel territorio, chiedere di essere accompagnati, qualche spiegazione, sulle origini, i personaggi famosi del luogo che hanno fatto la storia. Questo non è tempo di caffè letterari, di discussioni in sale di convegno, però, potrebbero proporsi itinerari, soste e fermate culturali, accompagnate da qualche racconto, uno scatto di quotidianità, di vita ordinaria, una poesia in vernacolo, senza voler risuscitare un passato che non ritorna, tuttavia, come pellegrini e viandanti, conoscere un po’ di storia, ascoltare qualche stralcio di vita vissuta e piena di rughe, chiedere spiegazioni su una parola che ha costruito il linguaggio e il pensiero di questa gente.

Prima di concludere, il mio pensiero va ai più giovani, a quelli che stanno pensando al futuro e quelli che si grattano la testa perché le opportunità bisogna crearsele. Questo tempo è una sfida, bella, nuova, entusiasmante, e si può affrontare, se ci si mette insieme, superando personalismi e protagonisti, accogliendo talenti e carismi, perché la storia la costruiamo noi, e il buon Dio ci ha dato tutti i mezzi, non solo la preghiera, ma la speranza che oggi abbiamo un compito, dar voce a tutti. 

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