Rosario Livatino il magistrato “ragazzino” credibile

Rosario Livatino il magistrato “ragazzino” credibile

Rosario Livatino il magistrato “ragazzino” credibile 1170 1220 Vincenzo Leonardo Manuli

Ci sarà un altro santino da baciare?

Chiedo venia per questa provocazione, ma la santità va più imitata anzichè rimanere una figura da incorniciare e da baciare senza alcuna testimonianza. La frase infelice pronunciata dall’allora presidente della repubblica Francesco Cossiga (1928-2010), “il giudice ragazzino”, fece infuriare i genitori del magistrato ucciso dalla mafia siciliana, laStidda. Cossiga non voleva di sicuro offendere la memoria e l’impegno per la giustizia di questo giovane uomo dello Stato, non era un attacco a lui, forse stigmatizzava le indagini difficili e di mafia a dispetto della sua età giovane. Nato a Canicattì in provincia di Agrigento il 3 ottobre 1952, fu ucciso il 21 settembre del 1990 mentre si stava recando al Tribunale. È stato beatificato dalla Chiesa cattolica il 9 maggio 2021, proposto come esempio di santità dove si può conciliare la fede in Dio con l’impegno civile.

Nel mio primo libro Chiesa, giovani e ‘ndrangheta in Calabria, ho dedicato un passaggio a proposito dell’impegno civile e di fede laico di questo magistrato: 

“La storia della lunga battaglia di resistenza alla mafia è ricca di volti e di nomi che hanno studiato il nemico e la sua minaccia e si sono immolate vittime della mafia: politici, forze dell’ordine, gente della società civile, magistrati come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe Scopelliti e Rosario Livatino”. 

Riproporre la sua figura è importante contro la perdita di memoria del quale oggi la nostra società soffre, soprattutto per i giovani, per chi lotta per la giustizia e per chi ha un impegno civile. San Giovanni Paolo II quando andò in Sicilia, nel discorso nella Valle dei templi ad Agrigento il 9 maggio 1993, prima della celebrazione aveva incontrato i genitori di Rosario Livatino, e rimase profondamente commosso che lo definì martire della giustizia e indirettamente della fede”.  Quello fu un atto fondamentale e di svolta nella chiesa e nelle chiese di Sicilia nei confronti della mafia. Cosa c’entra la fede nell’impegno civile di un magistrato? Rosario ne aveva discusso in diversi convegni, e nei diari conservati c’era una sigla enigmatica per gli inquirenti: STD (Sub Tutela Dei), dove lui annotava pensieri, riflessioni, nelle mani di Dio amava scrivere. 

Persona riservata Rosario, ma di una notevole statura intellettuale, morale e religiosa, conciliava l’amore per la giustizia con la fede cristiana, e in un passo scritto intorno agli anni Ottanta ecco una riflessione a proposito della sintonia tra fede e giustizia

«Il compito (…) del magistrato è quello di decidere; (…): una delle cose più difficili che l’uomo sia chiamato a fare. (…) Ed è proprio in questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio. Un rapporto diretto, perché il rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione di sé a Dio. Un rapporto indiretto per il tramite dell’amore verso la persona giudicata. Il magistrato non credente sostituirà il riferimento al trascendente con quello al corpo sociale, con un diverso senso ma con uguale impegno spirituale. Entrambi, però, credente e non credente, devono, nel momento del decidere, dimettere ogni vanità e soprattutto ogni superbia; devono avvertire tutto il peso del potere affidato alle loro mani, peso tanto più grande perché il potere è esercitato in libertà ed autonomia».

Gli scritti, il suo impegno, il suo martirio, ci hanno lasciato la figura di un professionista autorevole, un uomo anche di fede, senza esibizioni o palcoscenici per strumentalizzare la sua posizione. Che vi ho fatto picciotti? Così si rivolse ai suoi carnefici, e la camicia dove è impresso il suo sangue oggi non è solo una reliquia, ma una testimonianza forte, bella, eroica, sofferente e incomprensibile di chi è disposto a dare la vita fino alla fine, senza clamori e riflettori per un istante di pubblicità.

Rosario amava ripetere: “Alla fine, ci sarà chiesto non quanto siamo stati credenti, ma credibili”.

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