Riti di sangue. Antropologia, cultura e religiosità nella vita della mistica Natuzza

Riti di sangue. Antropologia, cultura e religiosità nella vita della mistica Natuzza

Riti di sangue. Antropologia, cultura e religiosità nella vita della mistica Natuzza 1035 1600 Vincenzo Leonardo Manuli

In libreria è possibile apprezzare un libro ben documentato su Natuzza Evolo, a cura del giornalista Arcangelo Badolati. L’approccio seguito è quello della ricerca, delle testimonianze dirette, attraverso fonti autentiche, con referti medici e foto, perizie e resoconti dei ricoveri della mistica di Paravati. Si tratta de «Il sangue di Natuzza si fa scrittura» (Cosenza 2018, pp. 165), dove sono raccolte riflessioni e dichiarazioni dei medici, racconti di esperienze di chi ha vissuto accanto a lei e l’hanno assistita. Spiccano gli episodi frequenti di Natuzza che durante il periodo di quaresima manifestava fenomeni “emografici”: «È noto il fenomeno dell’emografia che ha caratterizzato la vita terrena di Natuzza; molte persone erano e sono in possesso di fazzoletti o altri tessuti su cui erano raffigurate, scritte con il sangue, frasi in lingue diverse e/o rappresentazioni di immagini sacre». Asciugando il flusso di sangue esso formava nelle garze delle scritte in latino e in aramaico oltre a immagini sacre: «È proprio durante la Quaresima, infatti, che sul suo corpo comparivano particolari e specifici fenomeni carismatici, compresi quelli dell’emografia, accompagnati da grandi sofferenze fisiche». 

La clinica di sant’Anna a Catanzaro è stata il luogo dove preferiva ricoverarsi, per la competenza e la riservatezza, nel quale ha conosciuto ed ha avuto un rapporto intenso con due medici Franco Frontera, Francesco Perticone e la moglie di uno di loro, Lucia Bisantis. Un legame solido, spirituale e di amicizia, che li ha visti testimoni oculari dei fatti “straordinari” che si imprimevano nella carne di Natuzza, rievocando le ferite inferte di Gesù durante la Passione. 

Badolati riferisce le sofferenze della mistica, le precarie condizioni di salute, del rapporto con gli altri pazienti della struttura: «Nel tempo, i medici curanti sono riusciti a stabilire con Natuzza quasi un accordo sia sulla diagnosi delle patologie sia sul protocollo terapeutico da applicare». Importante è la testimonianza di Lucia Bisantis che ha fatto un diario degli eventi con alcuni scritti dettati dalla stessa mistica. Si riportano gli insegnamenti di Natuzza, e chi l’ha incontrata non può che parlare dell’umiltà e della modestia della donna, degli aiuti spirituali ricevuti che hanno cambiato la vita di tantissimi devoti, poiché ha saputo accogliere, ascoltare, consigliare, confortare, mettere al centro di ogni incontro sempre Gesù e la Madonna.

Le manifestazioni “carismatiche” della mistica si inseriscono nell’universo culturale calabrese nel quale c’è un linguaggio in questa “ritualità del sangue”, dal significato religioso e socio-antropologico, “segno di ri-plasmazione, di rinnovamento, di vitalità anche nell’orizzonte della fede cristiana” (L. M. Satriani, De sanguine, Roma 2005, pp. 192). Accade proprio in Calabria, tra miti, credenze e antichi rituali, nella terra dello spargimento di sangue dove l’imperativo dominante è la ritorsione, della legge tribale nel quale l’ucciso reclama la vendetta che placa faide interminabili (sangu chiama sangu). Anche nei rituali della religiosità popolare, «I Vattienti», la flagellazione di Nocera Terinese e di Verbicaro, esso assume una funzione “catartica”, dove per strada si assiste alle compagnie dei flagellanti che si autopuniscono ferocemente salassandosi a staffilate: “Rappresentano carnevali di afflizione, riti di violenza sacra, esorcismi collettivi per neutralizzare l’empietà che irrora il tessuto sociale” (Franco Ferlaino, I Vattienti, Milano 1991, pp. 340).

Quale significato possono avere tali fenomeni nel valore determinante del “sangue” dell’antropologia meridionale? In Natuzza c’è una mistica del patire che trascende la sofferenza. Il sangue che è simbolo di morte si trasforma in principio di vita che evolve in vita vera. La potente carica metaforica del sangue coagula simboli ora terrifici ora salvifici, connessi alla dissoluzione e alla morte o alla rigenerazione e alla vita. Così sul filo rosso fra puro e impuro, si rappresenta l’inesausto dramma tra sacro e profano, tra storia del divino e storia dell’umano, che nel sangue di Cristo acquista la preziosità taumaturgica di un magico “unguento”.

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