CICATRICI, FERITE, DOLORE, MISERICORDIA

CICATRICI, FERITE, DOLORE, MISERICORDIA

CICATRICI, FERITE, DOLORE, MISERICORDIA 1326 540 Vincenzo Leonardo Manuli

Il filosofo ebreo Martin Buber scriveva che il mondo non è comprensibile, ma è abbracciabile. Sarà così anche per il dolore? Per la sofferenza? Per la solitudine? Per le ferite della vita? E per quei punti dell’esistenza e del corpo in cui si è spezzati? 

Non sono una bellezza le cicatrici, non sono un vanto e tanto meno possono ricevere una nomination. Non ho fatto pensiero nella mia vita alle cicatrici, ho pensato però in questi giorni a quelle visibili e a quelle che non si possono nascondere. 

La cicatrice può essere un fiore o può essere una spina, oppure un tutt’uno, per cui guardarle, curarle, custodirle, bagnarle con le lacrime, cospargerle di baci, significa attraversarle, tentare di rialzarsi e ricominciare. Tutti abbiamo almeno una cicatrice, chi sul corpo, chi sul cuore, chi nella propria storia, un curriculum vitae, – come si diceva in precedenza -, sono segni e solchi che non si vogliono esibire ma condividere, ci fanno essere più fragili e più imperfetti, più vulnerabili e più umili, e ci fanno prendere contatto con il corpo, con la profondità della nostra anima. Non c’è nulla di cui vantarsi, e se un’anima, se un’esistenza diventa più forte è perché temprata dalla prova e dalla sofferenza e così guardando la cicatrice pensa tra sé: “Sono parte della mia vita e sono una forza per ricominciare”.

A volte si nascondono le cicatrici, per vergogna o perché in giro c’è tanta indifferenza, a volte si nascondono per insicurezza o perché chi viene a cercarci potrebbe approfittarne della nostra debolezza. E quel costato di Gesù, ferito, aperto, sanguinante, che è la misericordia con cui ancora  vuole invitare l’umanità a lasciarsi amare, cosa rappresenta? Sono un dolore muto che non si esorcizza con le parole, non servono medicine o terapie, si può imparare a gestirlo, ad accarezzarlo con i fiori e cospargere un po’ di miele, un sentiero da percorrere per connettersi con l’umanità e con l’universo che geme e che conosce l’unica preghiera: gridare a Dio dalle radici profonde e dall’abisso della sofferenza.

C’è un percorso dentro ad una cicatrice, non lineare, ognuna racconta una storia, non sempre bella, e ogni volta che le tocchi si ripresenta il ricordo. Non c’è una formula per fare amicizia e poterle abbracciare, ma solo speranzosi tentativi per continuare a vivere. Prova ad avvicinare l’orecchio, a chiudere gli occhi, sentire il pulsare dell’inquietudine, l’emergere delle paure e delle tempeste, fai un respiro profondo; si entra in un inizio, che è l’inizio a capire, un primo passo dove c’è la molla della bellezza, un’irrazionale scoperta davanti a cui avviene l’incontro, l’epifania della follia, il sacro indicibile dell’assurdità, che ha il nome dello stupore di una feritoia che si fa kairòs

Scrive il filosofo libanese N. N. Taleb che le cicatrici aiutano a riconoscere chi rischia, sono segni di chi nella vita non ha mai smesso di lottare, anche se guardarle ti rifaranno male, di chi osa, prende il largo, e si ferisce, i cui segni sono evidenza di chi ha rischiato per2 cercare nuove utopie. 

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