Quel “distacco” necessario. La replica di Mariangela Bisconte ad un mio intervento

Quel “distacco” necessario. La replica di Mariangela Bisconte ad un mio intervento

Quel “distacco” necessario. La replica di Mariangela Bisconte ad un mio intervento 960 540 Vincenzo Leonardo Manuli

In risposta all’articolo “Il mese di maggio, un fiore a Maria. Maria nella società e nella spiritualità”.

Spesso e volentieri quando mi soffermo a leggere gli articoli che Don Leonardo Manuli pubblica sul suo blog, mi ritrovo a riflettere e a collegare i suoi pensieri in una dimensione artistica. Ad esempio è successo che un po’ di tempo fa ragionando sul “distacco delle cose” ecco che non ho potuto fare a meno di ritornare con la mente ai pittori impressionisti, dove la loro arte si apprezza e si comprende maggiormente se dalle loro opere si prende “la giusta distanza”: se visionate troppo da vicino queste realizzazioni appaiono solo per quello che sono (colori e pennellate); se visionate da troppo lontano ci consegnano soltanto il soggetto che immortalano; ma se osservate da una giusta distanza appunto, ecco che ci svelano segreti, ci raccontano storie, ci svelano particolari, offrendosi allo spettatore nella loro totale “nudità” e piena magnificenza.

Ancora una volta mi ritrovo a pensare all’arte leggendo un suo articolo: questa volta si parla della figura di Maria in questo mese di maggio appena iniziato. Fra le prime frasi del pezzo, ci si interroga se non sia troppo eccessivo il culto nei confronti di Maria ed una delle risposte è no, ammesso che Ella sia guardata come una creatura umana. Proprio questa definizione di creatura umana mi ha riportato alla mente un dipinto a olio su tela. L’opera in questione è stata dipinta da Caravaggio tra il 1604 e il 1606 ed è conservata nella Cappella Cavalletti della basilica di Sant’Agostino a Roma: sto facendo riferimento alla Madonna di Loreto o Madonna dei Pelegrini.

Per l’epoca questo lavoro destò grandissimo stupore in senso negativo, quasi scandalo oserei dire e le motivazioni sono fra le più disparate: innanzitutto l’uso della modella (Caravaggio era solito adoperare donne di estrazione sociale umilissima o che svolgessero il lavoro più antico del mondo e capite bene quale oltraggio (!) potesse essere far loro interpretare dei soggetti sacri) e poi la totale assenza di quella visione religiosa fatta di puttini, nuvolette e vesti svolazzanti ed eteree che da sempre hanno dettato la via da seguire nella narrazione per immagini del credo.

La Maria che si mostra ai nostri occhi è una donna bellissima,  sensuale e mai volgare, che come una qualsiasi donna del popolo -appoggiata lievemente alla soglia della sua casa vissuta e dall’intonaco sbreccato- mostra suo figlio tenendolo in braccio con dolcezza e a sua volta lo sguardo rivolto verso i fedeli è pieno d’amore. Madre e figlio sembrano sbucare dalle tenebre dell’esistenza e  rifulgere di luce propria, inondando di chiarore tutto lo spazio circostante e tutte le creature che ne fanno parte.

La bellezza della Vergine si pone in contrasto con i tratti tormentati ed umilissimi dei due pellegrini. Proprio le due figure dei fedeli (che riassumono in loro l’umanità tutta) furono un altro motivo di “scandalo” per l’opera: per la prima volta, in un dipinto con soggetto sacro, al centro dell’opera non troviamo la figura da adorare, bensì i piedi nudi e sporchi dei pellegrini. Piedi di viandanti, di camminanti che hanno faticato, percorso strade tortuose, hanno accettato la sfida, la prova ed i loro volti di rughe, cotti dal sole e dalla fatica, volti di terra e sudore, sono il giusto riflesso delle loro mani nodose, mani lavoratrici, mani instancabili, mani di verità.

Non troviamo in questo lavoro una casa svolazzante sorretta e trasportata dagli angeli della Palestina, ma ci troviamo innanzi ad una realtà tangibile e comprensibile ed è proprio qui che risiede la bellezza e la maestosità ed immortalità di questo lavoro di Caravaggio: per quanto altri artisti mirabilmente nei secoli abbiano rappresentato le innumerevoli figure sacre in una dimensione eterea e quasi inarrivabile e forse anche “poco credibile” all’occhio del comune mortale, qui il pittore riconducendo il tutto ad una dimensione fortemente umana, non solo ci avvicina al soggetto della narrazione, ma ci svela la verità che in essa è contenuta: una verità a misura d’uomo, comprensibile da tutti e che avvicina tutti proprio a quel mistero che non è afferrabile se non con la fede.

Una Madonna di carne e di ossa per poter parlare di spirito e salvezza

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