Il primo libro sulla mafia. La famiglia Montalbano

Il primo libro sulla mafia. La famiglia Montalbano

Il primo libro sulla mafia. La famiglia Montalbano 1280 959 Vincenzo Leonardo Manuli

«Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà. Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini. E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi. E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito. E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre. Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo».

Questo è il brano in cui il padrino mafioso Mariano esprime il suo rispetto per il protagonista del romanzo, il capitano Bellodi, dal film Il giorno della Civetta (1968), diretto da Damiano Damiani, ripreso dall’omonimo romanzo sulla mafiadello scrittore siciliano Leonardo Sciascia (1961).

In realtà, il primo libro sulla mafia è opera di uno scrittore calabrese Saverio Montalto (1898-1977) al secolo Francesco Barillaro, La famiglia Montalbano (Chiaravalle Centrale 1973). I riconoscimenti si ricevono dopo la sepoltura, la vita va così, grande narratore omerico che provoca una rivoluzione dentro la letteratura nazionale. Non ebbe fortuna il Montaltoper alcune vicende personali e perché il suo manoscritto inizialmente venne scartato. Gli storici si domandano se lo scrittore siciliano di Racalmuto Leonardo Sciascia ne era a conoscenza dato che il testo era stato inviato alla collana Nuovi Argomenti diretta da Alberto Moravia ben prima della sua pubblicazione, ma era stato scartato.  Successivamente l’amico e altro scrittore calabrese Mario La Cava scoprì lo scritto del Montalto e gli dedicò anche un dramma. Il libro fu pubblicato nel 1973 dalla casa editrice Frama Sud di Chiaravalle Centrale nella collana Rosso e Nero, diretta da Pasqualino Crupi, studioso della letteratura calabrese.

Il romanzo del Montalto era stato scritto e concluso negli anni 1939-40, offre una propedeutica panoramica e lettura del fenomeno malavitoso in Calabria. “La trama ambientata in un piccolo paese della Calabria, vede come protagonista un certo Cola Napoli che ritorna dalle trincee della prima guerra mondiale e la mafia la incontra fisicamente nella piazza del paese nella persona di Gianni della Zoppa che ne è il capo”. È un’anticipazione della ‘ndrangheta, “questa criminalità organizzata è potente, agguerrita, organizzata, impunita, prepotente; prete, sindaco, maresciallo, proprietari terrieri, avvocato e magistrati sono amici degli amici nella piccola comunità contadina. C’è una stagnazione delle coscienze, tutti si adeguano e sono conformati al controllo di questo crimine locale. Cade Cola Napoli che aveva offeso il capo della mafia locale, composta non da uomini di onore ma del disonore”. Non è la mafia che aiuta i deboli e ruba ai ricchi, si smonta il mito, la Famiglia Montalbano è piuttosto composta da uomini del disonore che spogliano la povera gente e vestono gli affiliati. 

In un’altra opera, Il matrimonio clandestino (1979-80), il Montalto racconterà il comportamento del mafioso e le sue sfumature, crudele, cinico, subdolo, raggiratore, tragediatore e infame. Il Montalto è stato un narratore che con il suo romanzo ha mostrato gli inizi della Onorata Società, la moderna associazione a delinquere, la ‘Ndrangheta, la più potente mafia al mondo, e soprattutto dà luce sul fenomeno silente, negato, cartina di tornasole della mentalità mafiosa che soggiace e dà forza a questa criminalità spietata e violenta.

Lascia una risposta

INVIAMI UN MESSAGGIO, TI RISPONDERÒ QUANTO PRIMA.

[contact-form-7 404 "Non trovato"]
Back to top