Intervista al Parroco

Intervista al Parroco

Intervista al Parroco 640 640 Vincenzo Leonardo Manuli

Sento un po’ di imbarazzo ad intervistare un parroco, anzi, non sono abituato a frequentare ambienti ecclesiastici, quindi chiedo scusa se manco di riguardo e se sono impertinente, ma vorrei una conversazione vera, libera vivace. È disponibile?

«Sì, certo, sentiti a tuo agio, ma ti prego di darmi del tu».

Sei felice?

«È una domanda importante, penso che la direzione di questa tua curiosità sia indirizzata alla realizzazione o alla responsabilità di un compito oggi sempre più esigente. È uno stato interiore, una perla preziosa, che curo, custodisco e proteggo, in un dialogo con me stesso e con il Signore».

Don, io non sono un credente, sono battezzato, ho ricevuto i primi sacramenti, appartengo ad una famiglia che ha una tradizione religiosa, cattolica, poi, gli studi, le amicizie, la vita, mi hanno portato ad altri percorsi. Come avvicinare un non credente?

«Ti ringrazio per la tua sincerità. Penso che anche un credente vive momenti di dubbio, e questi lo aiutano a crescere e a mettersi dalla parte del non credente. Non ci si accosta con forzature e imposizioni. È la vita che offre dei segni, non esistono delle ricette, c’è un cammino e i tempi non li disponiamo noi».

È difficile fare il parroco?

«Da un lato è facile, c’è un automatismo, dall’altro, deve saper relazionare con diverse persone, accogliere tutti, come dice il vangelo, “andare incontro alla pecorella smarrita”, e maturare nel senso della collaborazione laicale, non può fare tutto lui. Il parroco non è il Salvatore, non può accontentare tutti, non è questione di simpatia o antipatia, i fedeli devono saper accogliere la sua umanità e lui deve gradualmente fare conoscenza che deve abbassarsi per ascoltare le loro esigenze».

Da quanti anni svolgi questo lavoro o diciamo servizio?

«La tua provocazione riguardo al lavoro l’accolgo, perché alcuni pensano sia un mestiere fare il prete. Si lavoro per la vigna del Signore, anche se a volte il prete o i fedeli confondono le cose. Da circa quindici anni sono prete, non sono stato sempre parroco, imparo giorno dopo giorno, perché l’umanità mia e delle persone che ho davanti è fragile».

Una volta la parrocchia, le associazioni religiose, erano un punto di riferimento. Non c’erano altri diversivi, oggi, social, internet, scandali nella chiesa, altre opportunità, allontanano i fedeli e soprattutto i più giovani. Non è questo il dato reale e problematico che indica un cambiamento di rotta della chiesa?

«Quello che tu dici l’ho vissuto, la questione è più profonda e complessa, la fede, non è vista come rilevante, non offre risposte, e poi le nuove generazioni sono cambiate, anche le famiglie, e la chiesa è rimasta ferma, bloccata su questioni interne, che non gli danno la spinta per farsi più prossima ai lontani».

Caro don anche tu sei critico?

«Essere critici non è un peccato, il peccato è la pigrizia, la comodità, non domandarsi, non chiedersi dove stiamo andando».

La chiesa di papa Francesco punta molto al sociale, i poveri, i migranti, con un linguaggio semplice, sta cercando di cucire strappi e risvegliare la tradizione religiosa, spesso immischiata in faccende temporali e profane.

«Vedo con piacere che stai prendendo gusto e sei informato alla vicende e alle evoluzioni ecclesiali. la chiesa ha sempre avuto attenzione ai più deboli e ai più fragili, la prima comunità cristiana non era lontana da questo stile pastorale. Ti dicevo in precedenza, che spesso dentro la chiesa si confonde il vangelo e il servizio con il potere e con la carriera. I fedeli, anche quelli non praticanti, ci guardano, e noi non diamo una bella testimonianza. La politica, il denaro, abusi sessuali. Noi svolgiamo un servizio integrale, cioè integrato, spirituale, ma anche di promozione umana».

Secondo te cosa dovrebbe cambiare nella chiesa?

«Io non sono né papa, né vescovo, sono solo un prete, posso esprimere i miei pensieri, anche riguardo alle consultazioni sinodali, penso che alle gerarchie siano chiare alcune situazioni, fragilità, derive, complicità. Altrimenti si rischia di servire “mammona e non Dio”».

Mi piace parlare con te, è interessante, vorrei farti altre domande, ma non voglio abusare della tua pazienza.

«Prego, puoi proseguire, senza farti problemi».

Beviamoci un caffè e riprendiamo le domande più tardi.

«Va bene, sono d’accordo con te».

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