In un mondo segnato da ingiustizie vecchie e nuove, una domanda disarmante, quasi una ferita e un grido: «Come dimostrare al povero che Dio lo ama?» È quanto si chiede il teologo della liberazione Gustavo Gutiérrez, alla ricerca di un vangelo che si faccia carne, una spiritualità radicata nella vita concreta.
La Chiesa deve rivisitare la storia dell’uomo, ascoltando i gemiti contemporanei. Nell’Esortazione apostolica Dilexit te, papa Leone XIV articola una teologia della rivelazione che scaturisce dalla misericordia verso i più poveri, da un’ecclesiologia della diaconia come criterio di verità e da un’etica sociale che si unisce, con la mano tesa, alla lotta per la giustizia. I poveri non sono soltanto un problema. Essi «sono una ‘questione di famiglia’, sono ‘dei nostri’ » (n. 104), «fratelli e sorelle da accogliere» (n. 56) perché Dio stesso li sceglie per primo. L’insegnamento di base è in continuità con quello di papa Francesco che papa Leone XIV cita più di 50 volte, inoltre, menziona specificamente che papa Francesco stava lavorando a questo testo. La trattazione dell’opzione preferenziale per i poveri è la più chiara e approfondita di tutti i documenti papali.
Dilexi te ricorda la necessità di impegnarsi per i poveri, di donare ai poveri, soprattutto attraverso l’elemosina (nn. 115-119), affinché impariamo ad agire con loro. La povertà, un enorme problema sociale, è anche un tema teologico: attraverso i poveri, Dio parla alla Chiesa («Dilexi te, ti ho amato»), la fede diventa reale nella misericordia e nel servizio che abbattono le barriere ed il popolo di Dio sperimenta la beatitudine dei «poveri in spirito».

Il recente insegnamento della Chiesa comprende che la povertà deriva dalle strutture del peccato. I poveri non sono lì per caso né per un destino cieco e amaro” (n. 14). Sono le “strutture di peccato che creano povertà e disuguaglianze estreme” (nn. 90-98). La nostra attenzione deve andare a queste persone “più deboli, più miserabili e più sofferenti” (2) e, in particolare, alle donne, che a volte sono “doppiamente povere” (n. 12). L’esistenza di strutture di peccato che sono alla base della disuguaglianza nel mondo. I cristiani spesso pensano al “peccato” in termini personali. Tuttavia, esistono strutture sociali ingiuste che possono essere chiaramente definite “peccaminose”. L’egoismo e l’indifferenza si consolidano nei sistemi economici e culturali. L’“economia che uccide”, misura il valore umano in termini di produttività, consumo e profitto. Questa «mentalità dominante» rende accettabile lo scarto dei deboli e degli improduttivi, e merita quindi l’etichetta di «peccato sociale». La risposta della Chiesa denuncia la falsa imparzialità del mercato, propone modelli di sviluppo, promuove la giustizia, mira alla conversione delle strutture. Ciò favorisce una forma di pentimento sociale che restituisce dignità agli invisibili e li aiuta a svilupparsi più pienamente.
Il papa chiarisce abbondantemente, i poveri non sono una realtà “sociologica”, sono esseri umani, nostri fratelli e sorelle, uguali in dignità a tutti. L’enfasi sul fatto che i poveri sono “soggetti” della propria storia e non “oggetti” di semplici atti di carità è un punto importante che va sottolineato, poiché evita qualsiasi critica sul fatto che questo documento cada nella sociologia.
Papa Leone colloca la riflessione sulla dottrina sociale cattolica nel contesto del lungo esame della preoccupazione per i poveri che si riflette fin dagli inizi della comunità cristiana. C’è il tema della proprietà privata. Nella tradizione cattolica questa non è mai stata intesa come un diritto assoluto, ma come qualcosa che comporta un obbligo sociale. Papa Leone mostra che questo non è un concetto nuovo, è degno di nota il fatto che questo tema riceva un’importante riflessione. La trattazione dell’opzione preferenziale per i poveri nasce prima nella dura realtà della povertà e della disuguaglianza latinoamericana, per poi entrare nel magistero universale dei Papi da san Giovanni Paolo II a Benedetto XVI e soprattutto in papa Francesco.

La Chiesa offre misericordia al mondo, promuovendo una civiltà in cui ogni persona è riconosciuta come immagine di Dio, promuove l’integrità nella persona del povero. I poveri, diceva Madre Teresa, «non hanno bisogno della nostra pietà, ma del nostro amore rispettoso». Trattarli con dignità è il primo atto di pace. Solo una società che pone al centro gli emarginati può essere veramente pacifica, e solo un mondo composto da società di questo tipo può essere in pace, in cui la chiesa non solo li assista, ma si lasci evangelizzare da loro, riconosca lo Spirito all’opera in loro e proclami insieme il Vangelo. L’impegno per i poveri non è dunque solo una conseguenza della nostra fede. È un’epifania, “un atto quasi liturgico” (n. 61) poiché “non si può separare il culto di Dio dall’attenzione ai poveri” (n. 40). “In questo appello a riconoscerlo nei poveri e nei sofferenti, si rivela il cuore stesso di Cristo” (n. 3). “L’amore per i poveri (…) è la garanzia evangelica di una Chiesa fedele al cuore di Dio” (n. 103) e una comunità che pretendesse di “restare in silenzio senza preoccuparsi in maniera creativa” dei poveri è destinata a perdere il proprio vigore evangelico (n. 113). Papa Leone si unisce a Papa Francesco nel dichiarare: “non ci sarà pace finché i poveri ed il pianeta saranno trascurati e maltrattati. La pace cristiana è giustizia riconciliatrice e riconciliata”.
Le ultime parole sono programmatiche di una Chiesa «che non pone limiti all’amore, che non conosce nemici da combattere ma solo uomini e donne da amare» (n. 120). Ogni persona indigente dovrebbe poter sentire queste parole per lei: «Io ti ho amato». Questa è la promessa e la nostra bussola per seguire ed «imitare il Cristo povero, nudo e disprezzato» (n. 64), per costruire una società e una Chiesa dove nessuno si senta abbandonato» (n. 21). È dalla prospettiva degli ultimi che occorre ripensare la fede, la Chiesa, il nostro modo di vivere, in cui il Dio di Gesù Cristo si lascia incontrare nel volto dei poveri, degli esclusi, degli scartati.
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