Oggi ci troviamo di fronte alla sfida di un mondo nuovo, un altro tipo di civiltà, una nuova tecnologia dotata di una capacità straordinaria: prendere decisioni, analizzare, generare nuove azioni, è la frontiera dell’IA, una civiltà dove gli sviluppi tecnologici si impongono. Il futuro della nostra società e la bibliografia scientifica è aumentata esponenzialmente. Sono numerosi gli ambienti dove emergono domande. Si passa dal terrore all’entusiasmo. Due visioni opposte. Ci renderanno queste tecnologie più potenti o ci condurranno a vivere in spazi fisici e concettuali più ristretti? Ci adatteremo per far funzionare le cose, trasformando i sistemi sanitari, politici, educativi, anche l’idea stessa della persona? Siamo convinti di celebrare un progresso, tecnologico, politico o sociale?

L’IA è minaccia alla condizione umana? Da quale prospettiva affrontarla? La teologia non deve rimanere ai margini.La sfida non è solo ingegneristica. Si lavora per ottimizzarla, renderla più precisa e sicura e come le persone reagiscono davanti alle nuove tecnologie definiscono il tipo di futuro che possiamo immaginare.
Ci interpella come società e come cristiani e nel pensiero credente, tenendo conto la struttura immanente del conoscere credente, si progetta una nuova struttura cognitiva dell’umano, non produce nuovi risultati ma plasma la concezione del mondo, trasforma la nostra consapevolezza, con la particolarità totalizzante di tutti gli aspetti dell’esistenza. Non siamo solo noi a creare le tecnologie, ma siamo da esse trasformati. La tecnologia già partecipa da oggi alla nostra trasformazione morale e spirituale.

Oggi parliamo di interazione tra computer e computer e tra computer ed esseri umani. Ormai in un nuovo contesto socio-culturale ed esistenziale, compito urgente è di elaborare strumenti intelligenti come paradigma dell’azione di pensiero in un mondo segnato dal pluralismo culturale e religioso. Le nostre connessioni digitali stanno creando qualcosa di simile alle “Città invisibili “ di Italo Calvino, costruite con pixel e con algoritmi, imprigionati in queste città, invece di esperire una comune appartenenza, di prossimità e di prossimo, concetti centrali per il cristianesimo, si instaurano in una nuova comprensione e in una nuova architettura che organizza i nuovi punti di riferimento a ridefinire le nostre esistenza.
La teologia come la filosofia, devono lasciarsi interpellare dai problemi che suscitano, presentando la fede non come un sapere esterno, ma rispondendo con lucidità e speranza, senza catastrofismi. È chiaro che ci sono benefici e rischi ma come influisce nel modo di pensare e di interpretare il mondo? Non può lasciarci indifferenti.

L’uomo non è un ingranaggio tra gli altri. La nostra capacità conoscitiva, affettiva, corporale sensoriale, intuitiva, relazionale e simbolica, è capace di una certa singolarità umana e di unicità, come il pensiero, la coscienza. Il rischio dell’IA è di omogeneizzare, sottovalutando l’intelligenza umana e la specificità del logos umano. La sapienza e la tradizione cristiana, consapevole di una antropologia cristiana che privilegia la dignità della persona, necessita di un approccio protagonista, coscienti che l’IA svolge una mediazione di senso che impone una sua grammatica. Occorre i limiti del linguaggio dell’IA, “il linguaggio è la casa dell’essere” sosteneva Martin Heidegger, “la mia lingua è la mia patria”, scriveva Luis Sepùlveda.

Si è davanti ad una Welthanschauung, conoscenza, potere, verità, potere invisibile nel tessuto sociale, un potere totalizzante, la teologia è chiamata a discernere questi processi. L’IA non è una rivoluzione come tutte le altre. Come digitalizzare noia, odori, contraddizioni, tensioni, crisi personali e sociali? Che fine faranno realtà come: alterità, finitudine, gratuità, paradossalità? Come decodificare il mistero della Trinità, dell’Incarnazione, la verginità di Maria? E la preghiera? Viviamo in una cultura nella quale scienza e tecnica ci fanno credere che noi umani siamo capaci di tutto, che dobbiamo sempre cercare un’efficacia immediata, che l’autonomia dataci da Dio nel vivere nel mondo ci esime dal rivolgerci a lui. L’IA è divenuta la nuova terra di missione, senza ottimismi ingenui, la riflessione teologica ed etica valorizzano le opportunità, di vedere l’IA per approfondire la comprensione della creazione e di noi co-creatori e custodi del giardino del mondo. Siamo più futuro che passato, l’IA non può mai prevedere il futuro, c’è una irriducibilità della vita, irriducibilità dell’intelligenza umana e dei nostri sentimenti, ci sfida a pensare come pensiero credente che possa illuminare il futuro orientando al bene, alla giustizia e alla dignità di tutti.
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