Pensieri di Carmine Paternostro su Feritoie di cielo

Pensieri di Carmine Paternostro su Feritoie di cielo

Pensieri di Carmine Paternostro su Feritoie di cielo 1157 1695 Vincenzo Leonardo Manuli

L’amicizia si celebra con la liturgia delle passeggiate, con i dialoghi, attraverso la condivisione del cibo, e anche con i libri. Questo per me è avvenuto con Carmine Paternostro, una personalità vivace, veramente poliedrica, poetica, ogni nostro incontro è fatto di slanci, di vedute profonde, di confronti, anche a distanza, tramite messaggi, telefonate, condividiamo il percorso della vita, delle fragilità. Ecco alcuni stralci che ha regalato al mio nuovo libro:

«Alla mensa culturale di Don Leonardo Manuli non si è mai all’ultima cena. In questa raccolta di versi, don Leonardo si diverte a pennellare, in colori diversi, i suoi sentimenti, che condivide con noi». 

Carmine è un medico, in pensione, ma sempre attivo, appassionato della medicina cinese, della filosofia, della cultura egizia, scrittore, poeta, sportivo, credente inquieto, innamorato della storia magnogreca, antropologo, amante della natura così egli si presenta, trasversale, non me ne voglia se ho dimenticato qualcosa oppure impropriamente mi sono permesso di elencare i suoi talenti, non per vanità ma per amicizia e con stima. Lui così continua verso di me: 

«Il titolo apre quella fessura o “feritoia di cielo”, da dove filtra la luce stellare dell’infinito. Infatti, in don Leonardo, zampilla la freschezza dell’intimo, in scrittura poetica. Lo sguardo alla vita, la conoscenza, esperienza e missione diventano poesia. Ed il nostro poeta battezza con titoli variabili le sue poesie. Personalmente, io, in anticipo, ho escluso ogni titolo ai miei sprazzi poetici. La poesia è infinito, sorgente dell’IO, non è circoscritta in perimetro, ma si agita libera nell’infinito di un tempo finito». 

Carmine legge la sua vita “al classico”, bibbia, miti, leggende, filosofi antichi, si nutre di esperienze, di sapienza, di incontri, d’altronde, le sue origini, Morano Calabro, uno dei borghi più belli d’Italia, ai piedi del monte Pollino, quel ragazzo “monello” cresciuto a suon di calci al pallone, di sacrifici negli studi, ora che le rughe sul suo volto segnano solchi di maturità e di consiglio, si permette di pensare in grande. 

«Dal suo infinito, don Manuli scende nel finito del tempo, cogliendo attimi di una vita che ha fretta. È anche un servitore di Dio: ogni palpito ritorna al pensiero del Creatore, del Verbo in Maria, che ha tradotto lo Spirito in Carne ed ogni parola, in lui, diventa “l’arma di prossimità e non di discordia”. Nella poesia del prete fluisce la vita in un Credo, che fortifica, rende sicuri e offre la luce di un arcobaleno di pace, concordia, in un quotidiano difficile di feste e di guerra, sottoposto alla legge del tempo. Don Leonardo vede e legge le pagine che corrono in fretta, nei giorni del vivere e scrive, per trovare nell’esodo dal diverso, l’“autoritrovamento” di sè stesso. Egli si affida a quel vento che sa donde viene e…dove sarà! In un punto indistinto troverà l’archetipo della sua vita, quella vera!».

Ho conosciuto un uomo pensante, cervello e cuore, attento alla famiglia, ai poveri, e continua a dilagare il suo impegno, scrivendo, incontrando persone bisognose delle cure del corpo, e quando il meteo lo consente, prende la bici da corsa oppure sale sulla sua barca, prende il largo, e sente il racconto di quel popolo dell’antica Thuri, senza farsi irretire dal canto delle Sirene, prosegue il suo viaggio, esplorando i misteri della vita, con stupore e gratitudine.  

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