XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Lc 12,32-48
Non come si attende lo spuntare di un fiore, non come l’attesa dell’alba, non come una madre in attesa del parto, non come rivedere il volto di un amico che arriva da lontano. Questi e altri sono simili e paragoni, per indicare, quella vigilanza e prontezza ad accogliere il Signore, credendo, pregando, operando la carità. Il Signore, desidera un cuore ardente di amore, come quella gola che dopo tanto cammino nel deserto, senza una goccia di acqua, trova una sorgente per dissetarsi di un’acqua viva.
Come attendiamo il Signore?
L’uomo ha una sete grande e implacabile e non trova nessuna compensazione per placare l’ansia e l’angoscia, gettandosi in surrogati falsi per reprimerla. Bisogna essere realisti, “aspettare non è cosa facile, richiede pazienza, attenzione, calma. Significa vivere nel dubbio, cercare con oli occhi con le orecchie un segnale o un minimo rumore che sia un preannuncio, una scintilla che accenda un barlume di speranza: sta arrivando, ecco, è qui” scrive Luigi Verdi. Il Signore riempie le nostre attese ed è superiore ad esse? In quale modo lo attendiamo?

Il piccolo gregge
Nella premessa a questa riflessione, la differenza di come si attende il Signore rispetto ad altre situazioni della vita è evidente. Lo scrittore Ignazio Silone scrisse che “i cristiani attendono il Signore con la stessa indifferenza e noia con cui aspettano il tram”. Il Signore si è legato a noi, soffrendo e morendo per noi, ci ha riscattati, ma siamo noi a vacillare, a dimenticarci, a distrarci in questo viaggio di ritorno. Dio è fedele e noi? “Come dimenticare che la fede non è qualcosa che riguarda noi, ma che riguarda prima di tutto e soprattutto Dio stesso? È come quando si parte in montagna: i nostri cammini sono sempre incerti, faticosi e, non raramente, si ha la tentazione di fermarsi. Nondimeno, la certezza che la montagna non si sposti e resti dove è ad attenderci, dà la sicurezza della meta all’incerto e faticoso cammino. Se le montagne si spostassero… allora la cosa sarebbe disperante perché ogni passo potrebbe rivelarsi inutile, fino a esasperare ogni speranza di poter raggiungere la meta” (M. Davide Semeraro).

Custodire il cuore
Il Signore vuole trovarci svegli, pronti, preparati, con il cuore unito e non diviso, di sicuro le palpebre si chiudono per il sonno, e ci afferra la voglia di stenderci un poco a riposare, di chiudere gli occhi e addormentarci: siamo così stanchi di stare nella notte. “È grazie alla vigilanza che il cuore viene custodito nell’essenziale, resta attento al Signore, non si lascia tiranneggiare dai pensieri che lo distraggono e gli fanno deviare il cammino. E se il tesoro dell’uomo è là dove si trova anche il suo cuore ecco che la vigilanza, che è rapporto equilibrato con se stessi, con il proprio corpo, con le cose, con gli altri, con Dio, è l’atto fondamentale che consente al credente di vivere con equilibrio l’oggi nell’attesa del Signore, la storia nella prospettiva escatologica” (LM).

Fedeltà
Fede-fedeltà-fiducia, abbraccia tutta la nostra esistenza: “La fede non ci dà tutte le risposte, ma ci sostiene con una speranza viva: quella di una vita che si trasforma, qui e ora, e non solo nell’aldilà” (GC). Signore, insegnaci ad attendere, è l nostra preghiera, nella fiducia irremovibile e nella promessa di un altro su cui si basa la capacità di un cuore sveglio. L’invito alla fiducia del Signore è un invito alla laboriosità e alla veglia festosa e serena. La nostra fede è piccola, come quella di Pietro, dei primi apostoli, dei santi, a volte piena di dubbi e incertezze, di speranze e di delusioni:“vacillante come la luce delle nostre lampade che sembrano spegnersi, soffocate dall’impazienza e dalla fretta, dal voler tutto e subito, in tempo reale” (LV).
Lasciamoci sorprendere dal Signore; lasciamoci sorprendere dalla vita; lasciamoci sorprendere da un alba, da un tramonto, da un abbraccio; lasciamoci sorprendere dal volto amichevole di un confidente, dal bacio degli innamorati. L’invito del Signore è: “Siate pronti a lasciarvi sorprendere”. Lasciamoci sorprendere da Dio, “un Dio che capovolge tutto, non il Dio padrone al quale mettere le pantofole, ma il Dio servo che vi farà sedere a tavola e brindare, colmi di gioia, occhi lucidi di felicità: beati” (LM).

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