IV DI PASQUA – Gv 10, 27,30

Una delle frasi che mi rimane scolpita nel cuore è “non siamo soli”, attribuita a Benedetto XVI. C’è qualcuno a cui interessa la nostra vita, il Signore è il mio Pastore, prega l’orante. Paolo direbbe: Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Spesso udiamo da persone semplici e con una fede umile e arrendevole: “siamo nelle mani del Signore” e sono mani buone. Anche nella persecuzione? Nelle difficoltà della vita? Nel rumore di tante voci? E quando ci sono pastori che abusano dell’autorità e del potere, disperdono le pecore e le maltrattano? Quando non ci si riferisce a Dio che è il Pastore il rischio è di abusare: “Dio si fa conoscere pienamente nell’uomo Gesù di Nazaret, il salvatore del mondo è l’impotente appeso alla croce, il Signore dell’universo è il servo di tutti, il pastore è l’agnello” (LM).

Le tante voci
L’immagine che esce dalle Scritture incarna il ruolo di colui che si occupa delle pecore: offre la vita, le conosce, instaura una relazione profonda. C’è un aspetto importante, dice l’evangelista Giovanni: le pecore ascoltano la mia voce. C’è un piano uditivo nella sequela, però non tutti lo seguono. “Molte volte preferiamo invece seguire le nostre idee, non ci fidiamo dell’indicazione del Pastore, vogliamo allontanarci dal gregge. Gesù ci avverte però dei pericoli e dei lupi che sono in agguato, ci chiede di rimanere sotto il suo sguardo per il nostro bene, perché solo attraverso un legame sempre più stretto con lui possiamo salvare la nostra vita e attraversare l’inevitabile persecuzione” (GP).

Il gregge e la pecorella smarrita
“C’è un rapporto stretto tra il Pastore e le pecore, un rapporto descritto attraverso l’immagine della familiarità con la sua voce. Quando infatti conosciamo bene qualcuno, siamo capaci di riconoscerne la voce anche a distanza, senza vedere la persona direttamente o quando è confusa tra altre voci. Così dovrebbe diventare il nostro rapporto con Gesù: crescendo nella familiarità con lui, saremo capaci di riconoscere la sua voce anche quando non è così evidente o quando altre voci cercano di coprirla” (GP). Tra il pastore e le pecore si instaura un rapporto profondo, intenso, un legame: le mie pecore .., una appartenenza, perché il Pastore dona la vita, non di dominio, ma di servizio, Egli è di modello del gregge. Il vero pastore protegge, ha cura; al contrario, il mercenario le rapisce, si defila e nel pericolo scappa. Chi disperde le pecore sono i lupi, i mercenari, coloro che abusano dell’autorità, non sono interessati alla salvezza delle pecore.
Il Pastore e l’Agnello
“L’immagine del pastore è sicuramente una delle più antiche rappresentazioni di Gesù, molto presente nelle catacombe e sui sarcofagi del III sec. d.C., per esempio nelle catacombe di Priscilla a Roma. Il pastore appare con una pecorella sulle spalle, nella quale ciascuno può vedere se stesso: siamo noi quella pecorella smarrita che Gesù prende sulle sue spalle” (GP). C’è una relazione profonda tra le due immagini, il Pastore e l’Agnello, si integrano e si interscambiano: vulnerabilità e cura, mitezza e guida. Anche il Pastore è vulnerabile, chi governa è consapevole della fragilità: “La proclamazione che Gesù è pastore in quanto agnello dice esattamente questo. Lui, il Signore, il più grande, si è posto coscientemente e liberamente come lo schiavo e il più piccolo, vincendo in se stesso la logica che porta a spadroneggiare e ad abusare” (LM).

Nelle mani di Dio
Il Risorto è Pastore e Agnello al tempo stesso, è Pastore perché Agnello, ovvero, è Colui che guida i credenti alla vita piena grazie alla sua passione, morte e resurrezione. Nessuno le strapperà dalla mia mano, dice Gesù, simbolo della potenza divina, di sicurezza e di custodia.

L’immagine pasquale del Pastore buono e bello che offre la vita, ha che fare con la verità di del Risorto. Preghiamo il Signore che doni pastori secondo il suo cuore, e ci rimetta sulle sue strade perchè possiamo ascoltare la sua voce e seguirlo, per divenire, un solo gregge e un solo Pastore.
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